Rispetto al complesso della popolazione italiana, in Toscana i maturi (da 45 a 64 anni) e gli anziani (da 65 in su) erano un po’ più numerosi: rappresentavano per il 27 per cento (rispettivamente 7 e 20). Al censimento del 1936, su circa tre milioni di toscani, i soli anziani erano più di trecentosessantamila: pochi anni più tardi, negli anni di guerra, la situazione era stata più o meno la stessa.
Il fatto che l’età media in Toscana fosse più lunga che in Italia, sia pur di poco, poteva anche essere un aspetto positivo in tempo di pace per chi viveva di più. Ma in tempo di guerra si tramutava in qualcosa di negativo; gli anziani costituivano un peso maggiore per se stessi e per i familiari, soprattutto per le donne, che dovevano prendersene cura.
Infine, cosa significava questa presenza di anziani in termini di peso della guerra sulla società civile? Poiché una parte di essi era ormai inabile al lavoro e doveva gravare su chi la accudiva, questo carico ricadeva sulle donne.
Ovviamente anche la situazione della popolazione più anziana era assai articolata.
Lo era a partire dal reddito: è scontato che un benestante avesse maggiori risorse per affrontare con minori preoccupazioni il tempo di guerra rispetto a un contadino delle zone ad agricoltura più povera della Toscana.
Ma c’erano anche altre differenze. In città già allora si viveva in media un poco meno a lungo che in campagna. E in città, rotti o quanto meno indeboliti i legami dell’economia morale che lega ogni realtà contadina, la vita di un anziano solo era più difficile che in campagna, dove le ampie famiglie contadine della mezzadria toscana avrebbero potuto offrire supporto maggiore. Ciò avveniva già in tempo di pace, e ancor più nei difficili periodi di guerra.
Guardando ancora ai dati del censimento del 1936 (che cinque-dieci anni più tardi erano certamente cambiati, ma di poco) era diversa in partenza la prospettiva degli anziani che vivevano nel capoluogo di regione o nella sua provincia (su 857.541 abitanti totali, c’erano allora 51.094 uomini e 56.189 con più di 60 anni), alquanto urbanizzata, rispetto a quelle dei loro coetanei che vivevano invece nelle campagne delle province senesi (su 266.312 abitanti, 16.633 uomini e 15.314 donne più che sessantenni) o grossetane (rispettivamente, su 185.114, 10.263 e 8.986). A parte i travagli e i pericoli del passaggio del fronte, il tempo di guerra fu per questi anziani toscani diverso in partenza.
Il peso della guerra
Nel corso della seconda guerra mondiale, in Toscana (come nel resto d’Italia) chi fra gli anziani fosse stato ancora abile fu chiamato a dare un maggiore contributo lavorativo alle famiglie, alla società e allo sforzo bellico. La vita divenne più faticosa non solo per questi, ma anche per gli anziani non in grado di lavorare e per gli infermi. In assenza di un welfare e con un’economia fortemente piegata alle esigenze della guerra, è difficile immaginare quali risorse e sostegni potessero andare a questa parte più fragile e indifesa della popolazione.
La guerra del regime fascista rese loro la vita più difficile fra il 1940 e il 1943, mentre la completa disorganizzazione presto emersa della Repubblica sociale italiana e i rischi e i pericoli connessi al passaggio del fronte non poterono certo migliorarla.
In campagna
Come si è detto, gli anziani che vivevano nelle campagne o comunque in famiglie impegnate in attività agricole, probabilmente risentirono meno del cambiamento imposto dal tempo di guerra: quella rurale non era una vita che conosceva pensionamenti, si smetteva di lavorare o di svolgere certe attività faticose man mano che le forze iniziavano a venir meno a causa dell’età.
Dato il numero di maschi chiamati in guerra e allontanatisi dalle campagne, gli uomini e le donne che restavano, anche se non più giovani, si trovarono a dover provvedere ancora una volta e in maniera determinante all’economia delle rispettive famiglie, oltre che alla cura dei minori e degli invalidi.
La situazione divenne poi più pesante quando la Toscana fu attraversata direttamente dal fronte e queste persone dovettero confrontarsi quotidianamente con tedeschi, partigiani, sbandati, sfollati e tanti altri che sciamavano dalle città alle campagne, alla ricerca di cibo e riparo.
In città
Nei centri urbani, come abbiamo visto, la situazione era più complessa.
Artigiani, operai, impiegati addetti all’industria, ai servizi o ai pubblici uffici erano necessari per lo sforzo bellico e per il regime era necessario cercare di coprire i vuoti lasciati dagli uomini mobilitati e inviati in guerra.
Con l’avvicinarsi o con il passaggio del fronte la situazione si complicò in maniera drammatica. Le città, adesso isolate dalle campagne, subivano maggiormente la penuria di beni essenziali, a partire da quelli alimentari. Furono i più deboli a pagare il prezzo più alto.
Quando i bombardamenti e i combattimenti distrussero i centri urbani rendendo invivibili e inagibili molte abitazioni, gli anziani furono costretti a sfollare a piedi, talvolta per lunghe distanze, esposti insieme a donne e bambini alle intemperie, alla fame e alle violenze dei belligeranti.
In questo contesto la condizione degli infermi fu particolarmente drammatica. E se, a quel tempo, una malattia faceva sempre paura, certamente essa era maggiormente spaventosa per uomini e donne anziani che vivevano in contesti urbani, dove si era più soli che nelle campagne.